martedì 11 febbraio 2014

INTRODUZIONE AL DIAMANTE 2

INTRODUZIONE AL DIAMANTE 2

… a Venezia nel Medio Evo…

Una delle prime notizie sull’esistenza della Corporazione degli Orafi Veneziani risale al 1231 il cui statuto, molto articolato, stabiliva che l’apprendistato durasse quattro anni e mezzo ed aveva inizio all’età minima di otto anni. Fu proprio in questo periodo che Venezia si attestò come la capitale del taglio e del commercio dei diamanti. [1] Il grezzo arrivava dall’India dopo un lungo viaggio attraverso Baghdad, Hormuz, Aleppo e Costantinopoli. Nella zona di Rialto, il centro economico della città, si potevano contare un centinaio di molini da diamanteri (mole da taglio per diamantai) dove furono sviluppate delle nuove tecniche di lavorazione per tirar fuori delle pietre il massimo splendore. Fino a quel tempo, infatti, i tagli conosciuti erano molto semplici: a punta (o piramide) ed a tavola (quadrata o rettangolare), corrispondenti all'incirca alle facce naturali della gemma allo stato grezzo. [2]
Evoluzione del taglio di un diamante
Per oltre due secoli la Serenissima ebbe questa sorta di monopolio, ma una serie di avvenimenti concorse al suo lento decadimento: altri artigiani europei a Parigi, Londra, Amsterdam – e gli stessi indiani – impararono presto l’arte del taglio. In aggiunta, nel 1498 Vasco da Gama aprì la nuova via marittima per l’India doppiando il Capo di Buona Speranza all’estremo sud del continente africano, favorendo così Lisbona sull’Atlantico e in seguito l’Europa del nord - in confronto alle città mediterranee - negli scambi commerciali. Nel corso dei secoli, con alterne e complesse vicende, i centri di taglio si spostarono prima a Bruges e poi ad Anversa che resta ancora oggi l’unico centro in Europa.
Il viaggio di Vasco da Gama nel 1497-1499

…a Firenze, nella famiglia de’ Medici…

Il capostipite storico della famiglia de’ Medici - originaria del Mugello nel nord della Toscana, d’estrazione popolare ed arricchitasi con il commercio della lana e l’usura - [3] era Giambuono vissuto nel XIII secolo. Suo figlio Chiarissimo ebbe un ruolo politico a Firenze e fu fatto cavaliere. La famiglia subì le vicende delle sanguinose lotte fra Guelfi (che sostenevano il papato) e Ghibellini (che sostenevano l'imperatore), ma non mancò mai di prosperare, tanto che dal XIV secolo alcuni de' Medici ricoprirono cariche di rilievo in città. Fu soprattutto la numerosa discendenza di Averardo (detto Bicci, fratello di Chiarissimo) ad occuparsi degli affari della famiglia fino ad arrivare, quasi un secolo dopo, a quel Giovanni di Bicci (1360-1429) che dette grande impulso alle già fortunate attività bancarie. Egli aprì nuove sedi in Italia ed in Europa, affidandole a parenti e soci che, dotati di un eccezionale acume mercantile, diventarono i finanziatori di sovrani e papi: la casa reale inglese era debitrice di 120.000 fiorini, lo Stato Pontificio di 100.000 e così via.
Giovanni accumulò in questo modo un gran patrimonio che lasciò al prediletto figlio Cosimo (1389-1464, detto il Vecchio): si trattava di 178.000 fiorini in moneta sonante in aggiunta ad una gran quantità di crediti attivi. Nell’eredità figuravano anche alcuni gioielli, principalmente una quindicina di anelli montati con “balasci”, [4] zaffiri, un paio di piccoli diamanti, uno smeraldo, catene d’oro, cinture d’argento ed altri oggetti minori – niente di straordinario, secondo un primo inventario stilato nel 1417. Sebbene Giovanni di Bicci avesse lasciato a Cosimo solamente tre libri, questi sviluppò comunque il gusto per il collezionismo di oggetti preziosi, pietre intagliate, argenti e marmi, un interesse coltivato con grande passione dal figlio Piero (1416-1469). Nell’inventario del 1465, infatti, troviamo descrizioni di grandi gioielli come una collana a treccia smaltata con 234 perle, 27 diamanti e 27 rubini “a mandorla”, insieme con un pendente con altre 12 perle, 3 rubini ed un diamante, il tutto valutato 1.000 fiorini. Un altro pezzo, questo del valore di 5.000 fiorini, consisteva in un fermaglio da spalla “d’uno libro d’oro” (una libbra, quasi cinquecento grammi) con un grande balascio, tre perle “grosse” ed un diamante sfaccettato e poi: 36 anelli con un assortimento di pietre preziose, fili di perle e perle sciolte per 3.500 fiorini, 100 medaglie d’oro e più di 500 d’argento, per un valore totale di ben 17.689 fiorini.
Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo de' Medici
Un altro Cosimo (1519-1574, figlio di Giovanni delle Bande Nere) ebbe al suo servizio Benvenuto Cellini che lo consigliò nell’acquisto di un certo numero di perle e pietre preziose, fra cui un diamante di 35 carati, non di gran qualità. Cellini lo montò in un pendente per la moglie di Cosimo, Eleonora di Toledo, figlia del viceré spagnolo di Napoli, insieme a molte altre gioie. [5]
Divenuti sovrani di una dinastia ereditaria, i de' Medici affidarono a raffinatissimi oggetti da collezione – oltre che ai prestigiosi gioielli sfoggiati dalle loro donne – il compito di affermare la propria autorità e stile presso le corti europee. In questo modo, nel corso degli anni il tesoro mediceo era diventato sempre più importante, [6] ma nel 1601 il granduca Ferdinando I (fratello di Francesco) lo rese veramente straordinario con una gemma senza pari: il diamante Fiorentino. Ferdinando lo acquistò per 34.300 scudi, l’equivalente valore di 122 chili d’oro. Era di colore paglierino, pesava 138 carati e proveniva dall’India (Tavernier l’aveva vista e la descrive nel suo libro). Fu tagliata a punta con nove lati dal veneziano Pompeo Studentoli che, dopo dieci anni di lavoro nelle botteghe granducali (dal 1605 al 1615, durante i quali ricevette regolarmente un salario di cinquanta scudi al mese), consegnò una pietra a 126
Il diamante Fiorentino
faccette di 127 carati, valutata 200.000 ducati, diventando così il diamante più grande e prezioso in Europa a quel tempo. Rimase di proprietà dei Medici fino alla morte dell’ultimo discendente, Gian Gastone, nel 1737. A questo punto passò agli Asburgo-Lorena, subentrati ai Medici nel governo della Toscana e fece parte dei gioielli della corona d’Asburgo con una valutazione pari a 750.000 dollari odierni. Del Fiorentino si persero completamente le tracce al crollo dell’Impero Asburgico dopo la I Guerra Mondiale: si pensa che sia stato rubato, ritagliato e venduto. La stessa sorte toccò alla maggior parte dei grandi gioielli dei Medici di cui rimane solo una piccola parte, oggi conservata nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti a Firenze.



… a Versailles, alla corte del Re Sole…

Forse nessun appellativo fu mai così indovinato come quello di “Re Sole” per Luigi XIV che regnò sulla Francia per oltre mezzo secolo: intorno a lui tutto era prezioso ed oltre modo sfarzoso. Egli realizzò una forma di stato centralizzato ed assoluto pervenendo al controllo della nobiltà, del clero, dell’economia e dell’armata: a ragione amava dire “Lo stato sono io”. Nato nel 1638, fu incoronato re nel 1654, a soli sedici anni.
Il Cardinale Mazzarino
Il Cardinale Giulio Mazzarino - l’abilissimo diplomatico suo consigliere, abruzzese di nascita, che fu determinante nelle scelte politiche e di vita del sovrano - aveva una collezione personale di 18 diamanti molto importanti (fra cui il Sancy di 55 carati, tagliato a goccia irregolare e di colore giallino) che in morte lasciò allaCorona. [1] Mazzarino e la sua favolosa collezione ebbero sicuramente un ruolo primario nell’intenso rapporto che si sviluppò fra il Re Sole ed i diamanti. Nel 1668 il mercante Jean-Baptiste Tavernier (originario di Anversa), al ritorno dai suoi frequenti viaggi presso le miniere indiane, vendette al sovrano francese 20 diamanti “grandi” (da trenta a cinquanta carati ciascuno), 24 di grandezza “media” (da dieci a venti carati) e ben 1122 “piccoli” (sotto i dieci carati). Fra queste pietre ve n’era anche una assolutamente eccezionale del peso di 115 carati, di un rarissimo colore blu intenso chiamata “Il grande blu di Francia” per la quale il re pagò la cifra di 22.000 luigi, l’equivalente di 147 chilogrammi d’oro e creò Tavernier barone. Il re la fece ritagliare dal tagliatore di corte, Sieur Pitau, ottenendo così una gemma d’incomparabile bellezza e valore di 69 carati. Si ritiene che questo possa essere il celebre diamante Hope di 45,52 carati, oggi esposto alla Smithsonian Institution a Washington.
Jean-Baptiste Tavernier
Il sovrano non si limitò ad acquistare pietre solo da Tavernier: da Maria di Lorena acquistò le pietre dei Guisa tra cui una di 33 carati; dal viaggiatore olandese Bazu un taglio esagonale di 43 carati e dal portoghese Alvarez un’altra considerevole quantità fra cui l’Hortensia, uno splendido diamante rosa tagliato a trapezio. Egli adorava letteralmente ricoprirsi dei suoi splendidi gioielli alle feste a corte: sull’abito faceva cucire una serie di spille e bottoni tempestati di pietre. In aggiunta indossava una catena con 45 diamanti ed una spada con l’elsa ricoperta di pietre; molti di questi oggetti furono eseguiti dal gioielliere di corte Gilles Legarè.
Luigi XIV fu comunque l’ultimo sovrano ad indossare ornamenti preziosi in modo spropositato; con la scoperta dei giacimenti brasiliani appena dieci anni dopo la sua morte nel 1715, l’universo dei diamanti non sarebbe più stato lo stesso.

Il Re Sole e la sequenza di taglio del Grande Blu di Francia (poi, il diamante Hope)





[1] Nel 1791 i diciotto diamanti del Cardinale Mazzarino furono valutati la cifra pazzesca di 2.325.000 livres. Il solo Sancy fu valutato un milione di livres. Questa collezione fu rubata nel 1792 in un celebre furto e fu poi, in parte, ritrovata.




[1] Piero Pazzi: I Diamanti nel Commercio, nell’Arte e nelle Vicende Storiche di Venezia Venezia, 1986.
[2]Nel XVI secolo gli artigiani veneziani più apprezzati nel taglio dei diamanti erano Cesare Fedrici e Gasparo Balbi. Fu Vincenzo Peruzzi a creare nel 1680 il taglio rotondo detto “a brillante” con cinquantotto faccette (57 più l’apice) che restò pressoché invariato fino ai primi decenni del 1900.
[3]I de' Medici erano iscritti alle arti (corporazioni) di Calimala e del Cambio. Di quest'ultima facevano parte anche i commercianti di metalli e pietre preziose.
[4] Il balascio (o balasso, spesso confuso con il rubino) è la varietà rossa dello spinello di cui esistono anche le varietà blu e verdi.
[5] Maria Sframeli: I gioielli dei Medici dal vero e in ritratto, Sillabe, Firenze 2003, catalogo della mostra che si tenne a Firenze, nel Museo degli Argenti a Palazzo Pitti, nel 2003-2004.
[6] L’inventario del 1574 registra 498 pezzi fra gioielli e pietre sciolte.

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