sabato 22 febbraio 2014

"DIAMOND PIPELINE"

Produzione globale di diamanti: la “Diamond Pipeline”

Ogni anno, l’analista Chaim Even-Zohar pubblica sulla newsletter specializzata Tacy la sua “Diamond Pipeline”, ovvero l’analisi della produzione globale di diamanti grezzi e tagliati. Di seguito riportiamo alcune indicazioni estratte da questa pubblicazione.  E’ opportuno leggere questi dati tenendo ben presente che, nell’anno 1900, la produzione fu di cinque milioni di carati in totale.

Analizzando i dati elaborati da Even-Zohar in anni passati, la produzione mondiale di grezzo nel 2005 è stata di 160 milioni di carati per un valore totale di 13 miliardi di dollari, ossia un valore medio di circa 80 dollari al carato. Nel 2007 la produzione è aumentata a 172,7 milioni di carati ed il valore totale ha sfiorato i 14 miliardi di dollari, mentre il prezzo medio per carato è rimasto pressoché stabile a circa 80 dollari. La De Beers, attraverso il suo braccio commerciale Diamond Trading Company (DTC) ha venduto intorno al cinquanta percento di tutta questa produzione.

I dati del 2012, invece, riportano una riduzione delle vendite sia del tagliato a $ 20,7 miliardi (da 22,6 del 2011), sia del grezzo a $ 15,5 miliardi (da 18 del 2011) per circa 164 milioni di carati ($ 110 per carato). Alrosa * e De Beers insieme avrebbero venduto il 68 percento di questa quantità di grezzo. Le previsioni di produzione di grezzo per il 2013 si attestano sui $ 15,7 miliardi e quelle di vendita di diamanti tagliati sui $ 22,8 miliardi.

Il valore delle vendite al dettaglio globali di gioielleria con diamanti è stimato in $ 72,1 miliardi, un aumento di circa il 5 percento sul 2011.

*Alrosa è l'organizzazione russa per la ricerca, estrazione e commercializzazione dei diamanti. Il nome è formato dalle parole ALmazy ROssiy SAkha, cioè Diamanti della Russia e Sakha.

La Diamond Pipeline del 2012



Chaim Even-Zohar




giovedì 20 febbraio 2014

NUOVE MINIERE

Le Nuove Miniere di Diamanti

Russia

Larissa Popugayeva
I grandi giacimenti russi nell’odierna repubblica semi-autonoma di Sakha (Yakutia) in Siberia, si cominciarono a sfruttare alla fine del ’950. Queste miniere erano state scoperte qualche anno prima da una geologa russa non come il frutto inatteso di un gioco di ragazzi nel modo in cui precedentemente era accaduto in Brasile ed in Sud Africa, bensì come il risultato di una lunga ricerca, un’attenta osservazione e, infine, una mossa astuta se diamo credito ad una leggenda. Larissa Popugayeva aveva notato che alcune volpi che cercavano cibo nei dintorni del suo accampamento avevano delle striature blu sulla pelliccia e pensò che probabilmente ciò fosse dovuto al fatto che gli animali avevano le loro tane in cunicoli di kimberlite blu. Sparò un colpo di fucile in aria in modo da farle fuggire verso i loro nascondigli. Dopo più di dieci anni di infruttuose ricerche nell’inospitale Siberia, l’accorta Larissa poté così finalmente localizzare i camini
superficiali dei giacimenti.
La Russia degli anni del ’950 non aveva né i mezzi tecnici né quelli economici per sfruttare commercialmente queste risorse, quindi la De Beers si offrì di risolvere il problema in cambio della cessione dell’ottanta percento di tutta la produzione. Philip Oppenheimer (cugino di Harry) era il negoziatore di questo accordo e si racconta che fu firmato in extremis nell’automobile che lo portava all’aereo in partenza per Londra dopo aver passato infruttuose settimane a Mosca seduto al tavolo delle trattative. Da allora il contratto è stato puntualmente rinnovato ad ogni scadenza, con alterne e coloratissime vicende, ma la percentuale venduta alla De Beers è passata dall’ottanta al sessanta percento ed ha continuato a scendere progressivamente e sostanzialmente fino ad azzerarsi nel 2009 per non incorrere nei rigori dell’Antitrust della Commissione Europea. 
I risultati dell’industria estrattiva russa - che può contare su tre importantissime miniere attive ed altre in prospezione - sono rimasti un segreto di stato fino all’inizio del 2005. Analizzando i dati riguardanti il 2003, sembrerebbe che la Russia, con 31 milioni di carati valutati 51 dollari al carato (per un totale di circa 1,2 miliardi di euro), avrebbe tolto il primato del volume al Botswana, che invece, in quell’anno, aveva prodotto 29 milioni di carati valutati 60 dollari al carato (per un totale di circa 1,3 miliardi di euro) ed avrebbe comunque mantenuto il primato del valore. Nel 2005 i ricavi della Russia sarebbero passati a 2,2 miliardi di euro, ovvero il 23 percento della produzione mondiale. [1]

Australia
Maureen Muggeridge
Anche se la sua produzione è drammaticamente scesa nell’ultimo decennio, L’Australia resta uno dei maggiori produttori al mondo, ma in termini di quantità, non di qualità. Le miniere, scoperte intorno al 1974 dalla geologa Maureen Muggeridge nella parte occidentale del paese, vicino a Perth, sono a cielo aperto e si stanno rapidamente esaurendo. Per tornare ad essere produttive, è stato finanziato un investimento di poco meno di un miliardo di dollari per cominciare a scavare in profondità a partire dal 2008, anche se ciò potrebbe risultare antieconomico. La merce australiana è, infatti, di piccola taglia e di qualità modesta: essa è lavorata principalmente a Mumbai, in India, dove il costo della mano d’opera è ancora abbastanza contenuto. Tuttavia l’Australia è anche produttrice di un numero limitatissimo (non più di cinquanta o sessanta pietre l’anno, dal peso variante da mezzo carato ad un paio di carati ciascuna) di preziosissimi diamanti rosa che sul mercato possono raggiungere anche 300-400 mila dollari al carato. [2]

Canada

Le miniere scoperte più di recente sono quelle nel Nord del Canada, il tetto di ghiaccio del continente americano, formato dai Territori di Nordovest (Northwest Territories), la più grande delle dodici province canadesi con un’estensione di 3,5 milioni di chilometri quadrati – più estesa dell’India ma con una popolazione di sole 60.000 persone. La geografia di questa regione è tappezzata da una miriade di laghi con nomi suggestivi. [3]
Nel 1991 il geologo Charles Fipke trovò i primi 81 cristalli di diamante sotto il ghiaccio del Lac de Gras situato a circa 150 chilometri dal Circolo Polare Artico. La sua ricerca fu lunga ed avventurosa: si dice, infatti, che durante la notte egli spiasse le aree infruttuosamente esplorate dai geologi della De Beers che si erano installati in quella zona sin dall’inizio degli anni sessanta del 1900. Fipke capì che granati, cromiti ed ilmeniti – i minerali indicatori della presenza di corpi kimberlitici entro cui sono involucrati i diamanti – erano ‘scivolati’ come in un giro di valzer di centinaia di chilometri, seguendo il costante movimento del ghiacciaio. La scoperta dei giacimenti canadesi provocò un frenetico interesse da parte di numerose compagnie minerarie sia locali sia internazionali. Mettere in produzione la prima miniera, Ekati, costò più di 800 milioni di dollari nel 1998.
Nel 2005 il Canada è stato il terzo produttore al mondo in termini di valore con 1,7 miliardi di dollari per 12,3 milioni di carati, oltre il 15 percento della produzione globale. Di questo, il 30 percento è di qualità “gemma”, destinato alla gioielleria. Questi dati sono destinati ad incrementare in modo esponenziale nei prossimi anni dovuto al fortissimo impegno di varie società estrattive nella zona; è infatti prevista la messa in produzione di nuovi giacimenti  [4] Sotto un altro punto di vista, invece, l’interessante prospettiva per il Canada di diventare un importante centro di taglio da affiancare ad Anversa, Tel Aviv, Mumbai, New York, stenta ancora a realizzarsi.
 
Le principali miniere di diamanti in Canada




[1] Nel 2007 la Russia ha prodotto grezzo per 35,84 milioni di carati, con un valore di 2,3 miliardi di dollari corrispondente ad una media di $ 64 per carato. (Dati elaborati da Chaim Even-Zohar).
[2] Nel 2007 l’Australia ha prodotto grezzo per 19 milioni di carati, con un valore di 380 milioni di dollari corrispondente ad una media di soli $ 20 per carato. (Dati elaborati da Chaim Even-Zohar).
[3] Le prime ricerche di materiali preziosi quali oro e diamanti in Canada risalgono addirittura al 1534, quando il navigatore francese Jacques Cartier, inviato da Francesco I, compì una serie di viaggi nelle desolate terre del Labrador e Terranova. Esplorò il corso del fiume San Lorenzo e pose le basi della colonizzazione del Canada che la Francia, tuttavia, non pensò di sviluppare. Cartier (la cui discendenza nella famiglia dei noti gioiellieri resta dubbia) mandò al re una serie di cristalli trovati in una zona dove poi sorse la città di Montreal e da lui ritenuti essere diamanti. Francesco I usò un sistema sbrigativo per esaminare le pietre, prendendole a martellate su un’incudine. Essendo queste in realtà quarzi e piriti, si frantumavano. L’odierna Québec resta l’unica provincia francofona dello sterminato territorio canadese.
[4] Nel 2007 il Canada ha prodotto grezzo per 16,8 milioni di carati, con un valore di 1,9 miliardi di dollari corrispondente ad una media di $ 114 per carato. (Dati elaborati da Chaim Even-Zohar).

domenica 16 febbraio 2014

LA DE BEERS E GLI OPPENHEIMER

La De Beers e gli Oppenheimer, i primi cento anni

Se Rhodes aveva tenuto a battesimo l’industria dei diamanti, chi la sviluppò compiutamente fu Ernest Oppenheimer. Nato in una numerosa famiglia di Francoforte in Germania - il padre era un mercante ebreo di sigari - egli lavorava a Londra per uno dei dieci “sightholders” esclusivi, in altre parole i clienti diretti che si riforniscono mensilmente di grezzo dalla De Beers. [1] Nel 1902, appena ventiduenne, fu mandato a Kimberley per seguire il delicato lavoro di assortimento del grezzo secondo le oltre 5.000 categorie di qualità in cui è diviso. Svolgerà questa mansione per quindici anni, diventando anche sindaco di Kimberley ed, in seguito, membro del parlamento Sudafricano. Nel 1917 costituì la Anglo American che si occupava dello sfruttamento dei ricchissimi giacimenti auriferi del Sud Africa, ma fu subito evidente che anche i diamanti rientravano nei progetti a lungo termine di questo nuovo gruppo. Dal 1929 fino alla sua morte sopravvenuta nel 1957, Oppenheimer presiederà sia l’Anglo American sia la De Beers.

Ernest Oppenheimer s’impegnò sempre a fondo per avere il controllo del mercato dei diamanti. Di conseguenza, con la costituzione di una serie di società collegate alla De Beers che poi confluiranno tutte nella Central Selling Organisation - CSO, il canale unico di vendita sempre contemplato da Rhodes - creò un monopolio quasi assoluto dell’estrazione e vendita dei diamanti, anche tenendo in considerazione che a quei tempi le uniche miniere attive esistevano solo nel continente africano e la De Beers si affrettava a stringere patti di cooperazione con i governi degli stati in cui si venivano scoprendo nuovi giacimenti come, ad esempio, la Namibia.


Ernest and Harry Oppenheimer

Tuttavia non sempre il CSO riuscì a mantenere stabile il prezzo del diamante. Vi furono, nonostante tutto, oscillazioni paurose: durante la grande Depressione americana le vendite erano calate così rapidamente che la De Beers fu costretta a chiudere tutte le miniere dal 1932 al 1944, accontentandosi di mettere in vendita con molta cautela gli stock al ritmo di 12-15 milioni di dollari l’anno. Per riprendere quota si rendeva imperativa una magistrale operazione di marketing. Ci pensò Harry Oppenheimer, figlio di Ernest, che dapprima introduce le famose “4C” (Color, Clarity, Cut, Carat ovvero Colore, Purezza, Taglio e Peso, i quattro criteri basilari di qualità e valore delle pietre tagliate per i consumatori) ed in seguito lancia una pubblicità generica a livello mondiale con il celebre slogan “A Diamond is Forever” (un diamante è per sempre) che per svariati decenni fu il cavallo di battaglia della società.

Harry Oppenheimer sarà presidente della De Beers dal 1957 al 1984. Quando suo figlio Nicky subentrò, si trovò di fronte le porte del nuovo millennio e la necessità assoluta di rinnovare dalle basi un colosso multinazionale che aveva già superato il secolo di vita ed un fatturato annuale di quattro miliardi di dollari. Nicky, con un’operazione molto ardita del valore di $ 16,2 miliardi, privatizzò la compagnia che diventò così di proprietà della famiglia (45 percento), di Anglo American (40 percento) e della repubblica del Botswana (15 percento); azzerò lo stock di grezzo che era arrivato ad un valore di cinque miliardi di dollari; cedette per $ 250 milioni il diritto ad usare il nome “De Beers” (che era stato reclamizzato per oltre mezzo secolo in tutto il mondo) alla LVMH di Bernard Arnault, il mostro sacro del super lusso; cambiò il nome della Central Selling Organisation (in cui forse ancora echeggiavano le regole imperialistiche del Syndicate di Rhodes) in Diamond Trading Company, [2] facendone un’impresa completamente nuova ed indipendente. Infine dimezzò il numero dei sightholders ad ottantaquattro. [3]


Nicky Oppenheimer

Nel corso della sua esistenza la De Beers è costantemente progredita e si è evoluta e con essa le nazioni africane dove è massicciamente presente, principalmente Sud Africa, Namibia e Botswana. [4] Qui, se non altro, non vi sono le sanguinose guerre civili in atto in altre nazioni diamantifere come Angola, ex Zaire, Sierra Leone, Ghana, Liberia che rappresentano il quattro percento del fatturato totale. Il Kimberley Process, il protocollo fortemente voluto da Nicky Oppenheimer ed altri organismi internazionali per combattere il fenomeno dei cosiddetti “diamanti insanguinati”, impegna i suoi sottoscrittori a non comprare né vendere i diamanti illegali provenienti da queste aree. Bisogna riconoscere che, fino dalla sua fondazione nel 1888, De Beers ha sopravvissuto a due guerre mondiali, la crisi del 1929 negli Stati Uniti, la dissoluzione dell’Unione Sovietica del 1991,  la fine della segregazione razziale in Sud Africa nel 1994. Pur perdendo delle considerevoli quote di mercato, ha sopravvissuto anche alla scoperta e messa in produzione dei nuovi giacimenti diamantiferi (vedi capitolo più avanti) in Russia, Australia, Canada e, ultimamente, nello Zimbabwe.

 De Beers, oggi

Fino agli anni 80 del 1900, De Beers controllava saldamente l’85-90 percento del mercato globale, in altre parole gestiva un monopolio incontrastato dell’estrazione e commercio del grezzo di diamante ma, dopo il 2000, le cose sono sostanzialmente cambiate anche per la scoperta delle nuove miniere come abbiamo visto nel precedente capitolo. Oggi De Beers controlla solo il 35-40 percento del mercato globale del grezzo (quindi non è più un monopolio assoluto) ma anche il suo assetto societario è stato completamente rivoluzionato. Nell’agosto 2012, infatti, Anglo American ha acquistato alla famiglia Oppenheimer il 40 percento delle azioni ancora di sua proprietà per 5,1 miliardi di dollari, arrivando così a detenere l’85 percento del capitale, mentre il restante 15 percento resta alla repubblica del Botswana. Ne consegue che la sede, la direzione, gli uffici e tutta la logistica della De Beers sono stati spostati da Londra a Gaborone, capitale del Botswana.
Concludendo: l’andamento delle vendite totali della De Beers nel 2012 riflettono pienamente le contrazioni dovute ai grandi cambiamenti intercorsi nell’ambito societario e la recessione ancora in atto a livello mondiale. Le vendite sono state di 6,1 miliardi di dollari (meno 16 % rispetto al 2011 con $ 7,3 miliardi). Un leggero incremento nelle vendite si è invece registrato nel 2013 con 6,4 miliardi. La produzione di grezzo era stata di circa 28 milioni di carati nel 2012 e di circa 31 milioni di carati nel 2013 con un incremento di circa il 12 percento.  

  
Gaborone, capitale del Botswana

  




[1] I nomi dei dieci membri del London Diamond Syndicate di quell’epoca erano: Wernher & Beit, Barnato, Mosenthal, Dunkelsbuhler, Joseph, Cohen, Lilienfeld, Gervers, Neumann e Feldheimer. Ernest Oppenheimer, insieme con alcuni dei suoi fratelli, lavorava con Dunkelsbuhler con cui aveva vincoli di parentela.
[2] La Diamond Trading Company (DTC) è una delle prime società fondate da Ernest Oppenheimer verso il 1930 che in seguito vennero a formare il CSO.
[3] Nel maggio 2008, il numero dei clienti diretti della DTC era sceso ulteriormente a 79. Il contratto di fornitura di grezzo ai sightholders è stato completamente revisionato negli anni successivi.
[4] Nelle sette miniere attive in Sudafrica, De Beers ha prodotto almeno il 95% del fatturato di diamanti della nazione con 15,74 milioni di carati per un totale di quasi un miliardo e mezzo di dollari ($95 per carato di media). La Namibia (attraverso Namdeb, consociata con De Beers) ha recuperato 2,87 milioni di carati di alta qualità (una media di ben $ 283 per carato), principalmente dalle operazioni che si svolgono in mare di fronte alla costa. Il valore totale si aggira sugli 814 milioni di dollari. Il Botswana (attraverso Debswana) è il maggior produttore del mondo in termini di valore: 3,33 miliardi di dollari per 32,8 milioni di carati (media p.c. $ 101). Tutti i dati si riferiscono al 2007 e sono stati elaborati da Chaim Even-Zohar, un noto analista del settore.

venerdì 14 febbraio 2014

INTRODUZIONE AL DIAMANTE 4

INTRODUZIONE AL DIAMANTE 4

… 1866, si scoprono i diamanti in Sud Africa…

Come accadde in Brasile, tutto nacque ancora una volta quasi per gioco lungo i greti dei fiumi Vaal ed Orange, nello Stato Libero di Orange, [1]
L'area diamantifera del Sud Africa fra i fiumi Vaal e Orange
dove i figli dei “boeri” (i coloni olandesi, tedeschi e ugonotti insediatisi sull’estrema punta meridionale dell’Africa fin dalla metà del XVII secolo per sfuggire alle persecuzioni religiose) [2] giocavano alle biglie con dei sassolini colorati e lucenti. Nel 1866 una di queste pietruzze ebbe l’onore di diventare ufficialmente il primo diamante trovato in Sudafrica. Valutato 500 sterline, fu tagliato a Londra a cuscino ovale di dieci carati pieno di difetti che passerà alla storia con il nome di Eureka.
Due anni dopo un giovane pastore trovò un grezzo di 83 carati che fu barattato con 500 pecore, dieci buoi ed un cavallo, una piccola fortuna tenendo conto dei tempi e dei luoghi. Questa pietra diventerà la Star of South Africa, una superba goccia di 47 carati. [3] 
Star of South Africa


In quei paraggi sorgeva la tranquilla fattoria di due boeri, i fratelli De Beer, dove fu trovato un numero considerevole di pietre in brevissimo tempo. La voce si sparse immediatamente e scoppiò il rush, la febbrile corsa alla ricerca del grezzo con il risultato di far arrivare un’orda di cinquantamila famelici ed improvvisati cercatori da ogni angolo del mondo: la maggior parte dei diecimila coloni che  lavoravano quelle terre aride, da sempre ostili al capitalismo industriale, non trovò miglior soluzione che venderle per pochi soldi.
Il diamond rush
Nell’ottobre 1871 arriva su un carro trainato da buoi anche un diciottenne inglese alto e biondo, mandato lì dal padre, prelato anglicano, per curare un’affezione polmonare. E’ Cecil John Rhodes, studente ad Oxford, il quale ben presto si rende conto che in questa parte del mondo i depositi di diamanti non sono del tipo alluvionale – ovvero lungo i fiumi come in India ed in Brasile – ma si trovano in giacimenti primari dove bisogna scavare la roccia durissima in profondità. La sua prima mossa è quindi di acquistare una pompa per estrarre l’acqua dai lotti allagati e l’affitta ai minatori. [4]

Rhodes e Barnato sulla copertina di un libro
Nel periodo dal 1872 al 1874 si estraggono un milione di carati di buona qualità, [5] di conseguenza i prezzi del grezzo scendono e Rhodes può comprare un gran numero di concessioni dai minatori in difficoltà tecniche e finanziarie. Il gioco è fatto: il grande speculatore continua ad acquistare sia che il prezzo salga o scenda, creando una grande impresa di capitali. Alla fine restano solo in due a dividersi l’intero mercato estrattivo sudafricano: Rhodes e Barney Barnato. Questi era un curiosissimo personaggio che, giunto a Kimberley dai bassifondi di Londra all’epoca del rush, aveva fatto il pugile ed il clown ma, poiché era dotato di un gran fiuto per gli affari, aveva subito afferrato le realtà delle miniere sudafricane acquistando molte concessioni. Nel 1889 Rhodes lo convinse a vendergli tutta la sua parte dopo un titanico confronto ed un assegno di 5,3 milioni di sterline. Nasce così la De Beers Consolidated Mines. [6] Barnato si toglierà la vita nel 1896 a quarantacinque anni gettandosi in mare da un transatlantico in navigazione verso Londra, mentre Rhodes morirà nel suo letto a Città del Capo nel 1902, non ancora cinquantenne.
La vita di Cecil John Rhodes fu breve, intensissima e straordinariamente interessante. Egli si rese conto che l’unico modo di garantire il futuro alle miniere gestite dalla De Beers, era di riunirle in un conglomerato e che, per sostenere i prezzi del prodotto, sarebbe stato necessario avere un unico canale di vendita. Da qui, nel 1890, nasce il London Diamond Syndicate, un gruppo di dieci clienti esclusivi che, con un sistema di quote, bilanciavano l’offerta e la domanda del grezzo sul mercato mantenendone così il prezzo. Non vi era nessun altro luogo al mondo dove far nascere questo “cartello”: Londra era, infatti, dove la Compagnia delle Indie faceva pervenire tutte le preziose merci delle colonie inglesi già da centinaia d’anni. [7]


Certificato azionario della De Beers Consolidated Mines Ltd.




[1] L’Olanda era divenuta un regno indipendente sotto la dinastia degli Orange con i Trattati di Parigi del 1814, in seguito allo smembramento dell’impero napoleonico.
[2] Le persecuzioni religiose contro i protestanti francesi (chiamati Ugonotti, dal tedesco Eidgenossen, confederati) erano cominciate già nel 1572 con il massacro della notte di San Bartolomeo. Nel 1598, tuttavia, fu firmato l’editto di Nantes che accordava alcuni diritti civili ed il libero esercizio di culto ai protestanti. Ma Luigi XIV abrogò questo editto nel 1685, costringendo così molti di loro ad emigrare in varie parti del mondo. Un certo numero di orafi francesi si trasferì a Londra, mentre almeno duecento individui con diversi mestieri andarono nella zona del Capo in Africa del Sud ed è molto probabile che, due secoli dopo, alcuni dei loro discendenti partecipassero al diamond rush o lavorassero nella Compagnie Française de Diamant du Cap (la società mineraria fagocitata nel 1887 da Cecil Rhodes, insieme a tutto il resto per formare la De Beers. Vedi più avanti).
[3]La Star of South Africa fu rivenduta per 11.300 sterline al tagliatore Louis Hond che la modellò in un’importante goccia di 47 carati. Poco dopo Lord Dudley l’acquistò per 125.000 dollari e nel 1974 sarà venduta all’asta di Christie ’s a Ginevra per 552.000 dollari.
[4] La prima attività di Rhodes appena arrivato in Africa del Sud fu quella di fabbricare ghiaccio.
[5]  Nei primi anni di attività la produzione sudafricana cresce in proporzione geometrica: 1 milione di carati nel periodo 1872-1874; 2 milioni nell’anno 1884; 4 nel 1888; 6 nel 1916; 8 milioni di carati nel 1927. Nel 2001 si sono prodotti 11,3 milioni di carati di grezzo con un prezzo medio di poco più di 100 dollari al carato, mentre nel 2007 la produzione è salita a 15,7 milioni di carati ma il prezzo medio per carato è sceso a 95 dollari.  Come raffronto è opportuno ricordare che nel corso di duemila anni dalle miniere indiane sono stati estratti circa venti milioni di carati e che la stessa quantità fu estratta in Brasile in duecento anni.
[6] Nel luglio 1887 i banchieri Rothschild estesero un prestito di 750.000 sterline alla nascente società mineraria. Da quel momento in poi la loro partecipazione nella De Beers, condotta con grande discrezione, fu sempre attiva e continua ancora oggi.
[7] All’inizio del XX secolo l’Inghilterra disponeva di un impero vasto 33 milioni di chilometri quadrati con 450 milioni di abitanti, all'incirca un quarto di tutta la popolazione mondiale.

giovedì 13 febbraio 2014

INTRODUZIONE AL DIAMANTE 3

INTRODUZIONE AL DIAMANTE 3

… 1725, si scoprono i diamanti in Brasile…

Dopo aver prodotto diamanti d’eccezionale qualità per oltre due millenni, le generose miniere indiane si erano quasi esaurite. Una moltitudine di ricchissimi maragià [1] che governavano piccoli potentati riuscivano a mantenere l’equilibrio del mercato dei diamanti soddisfacendo con le loro immense scorte la crescente richiesta di pietre proveniente dall’Europa, favorendo inconsapevolmente la creazione di una sorta di primordiale “cartello”.

Delimitazione del Brasile dopo il trattato di Tordesillas
In un’altra parte del mondo, nel frattempo, i portoghesi si erano insediati in Brasile a seguito dell’arbitrato di papa Alessandro VI (lo spagnolo Rodrigo Borgia) che aveva posto fine alla disputa fra Spagna e Portogallo sorta subito dopo la scoperta dell’America: esso stabiliva che tutto il nuovo continente restava sotto il dominio spagnolo, ma ai portoghesi era riconosciuta la sovranità su un lembo della costa atlantica sud orientale (Pernambuco), un territorio inizialmente piuttosto esiguo, ma che fu in seguito esteso grandemente con il trattato di Tordesillas del 1494. L’aspetto più straordinario e curioso di questo trattato è che fu stipulato “al buio”: in pratica nessuno, nel 1494, era ancora a conoscenza né dell’esistenza né dell’ubicazione del grande e ricco continente sud americano poiché Colombo, all’epoca, stava ancora circumnavigando le isole di Cuba, Giamaica e Puerto Rico nell’area dei Caraibi nel corso del suo secondo viaggio verso quella terra che lui ancora riteneva fosse l’India.[2]


Fu solo alla fine di marzo 1500 che la grande flotta composta da tredici vascelli con millecinquecento uomini d’equipaggio, partita da Belem e finanziata da re del Portogallo Manuel I il Grande, arrivò sulle coste brasiliane e ne cominciò la colonizzazione, resa possibile grazie alla stabilità politica dei portoghesi, la loro grande esperienza marittima e la più che favorevole posizione geografica dominante l’Oceano Atlantico.
In seguito, i coloni scoprirono l’oro nella zona di Minas Gerais (Miniere Generali), cinquecento chilometri a nord di Rio de Janeiro. Si narra che i garimpeiros (cercatori), alla fine di una lunga giornata di lavoro passata setacciando la sabbia del fiume Jequitinhonhas, si rilassavano giocando a carte e come fiches usavano degli insoliti sassolini che trovavano nei paraggi. Il primo a riconoscere quelle pietruzze luccicanti sul tavolo da gioco fu Padre Sebastiano, un missionario che in gioventù aveva predicato in India nella zona di Golconda.
Schiavi al lavoro in una miniera brasiliana

Ciò accadeva intorno al 1725 e sul trono del Portogallo, a 7000 chilometri di distanza, sedeva Giovanni V. Quando si riuscì ad accertare la natura e l’entità della scoperta, ci furono grandi festeggiamenti alla corte di Lisbona e si cantarono Te Deum di ringraziamento nelle cattedrali. I terreni diamantiferi, presidiati dall’esercito, furono subito dichiarati proprietà esclusiva della corona e fu creata un’imponente scala gerarchica di governatori, intendenti, ispettori e concessionari preposti al controllo delle operazioni di recupero del grezzo svolte da schiavi africani - uomini o donne - in condizioni disumane. Si costruì addirittura la “Strada Reale” che poteva essere utilizzata esclusivamente per il trasporto delle pietre verso il porto di Paraty dove erano imbarcate sulle navi reali dirette a Lisbona. I contrabbandieri erano deportati in Angola, un altro possedimento portoghese che è divenuto, in tempi più recenti, uno dei maggiori produttori di diamanti d’altissima qualità.

Nel 1771 fu creata un’amministrazione speciale, la “Regia Estrazione” che si occupava della complessa normativa riguardante i diamanti. [3] La casa reale portoghese accumulò così un tesoro considerevole e fece realizzare dai migliori artigiani del tempo una serie impressionante di gioielli sontuosi ed elegantissimi che ancora oggi si possono ammirare a Lisbona nel Palazzo dell’Ajuda e nel Museo Nazionale d’Arte Antica. La Repubblica fu proclamata in Portogallo nel 1910. 


Tabella comparativa del valore dei diamanti, compilata da Louis Dieulafait nel 1874. Si noti la forte caduta dei prezzi del 1750.

Uno degli effetti quasi immediati dell’offerta sostenuta e continuata di grezzo sul mercato, fu il crollo di quasi il settantacinque percento del suo valore (vedi tabella sopra). Alcuni mercanti – molto probabilmente londinesi – cominciarono a spargere la voce che la merce brasiliana era falsa. Prontamente i portoghesi  decisero di inviare ingenti quantitativi di pietre verso Goa, una loro colonia sulla costa indiana del Mare Arabico. Con questo stratagemma le pietre brasiliane potevano arrivare in Europa con un “passaporto” indiano.

Il sistema più usato per recuperare il grezzo nelle Minas Gerais era di deviare il corso dei fiumi scavando dighe e canali e quindi, con un lavoro durissimo, passare al setaccio tutta l’area prosciugata. Fu instaurato un sistema di ricompense per gli schiavi: il ritrovamento di una pietra da otto a dieci carati, valeva il dono di “due camicie nuove, alcuni vestiti, un cappello ed un bel coltello”, [4] mentre per una pietra di oltre 17 carati e mezzo era resa la libertà. La schiava che trovò la Stella del Sud nel 1853 (un grezzo di 261 carati da cui si ottenne un ovale di 128 carati di un tenue colore rosato) [5] guadagnò anche un vitalizio, comprendente vitto e alloggio. Il piccolo insediamento formatosi in quell’area fu chiamato Diamantina, dove sorsero alcune belle chiese e dimore in stile barocco coloniale. Nel 1822 il Brasile ottenne l’indipendenza, ma la schiavitù vi fu abolita solo nel 1888: quest’avvenimento segnò il ritorno dei cercatori indipendenti, gli avventurosi garimpeiros che erano stati allontanati dal territorio sin dal ritrovamento dei primi cristalli.

Un sontuoso gioiello con diamanti brasiliani appartenuto alla regina Maria del Portogallo (seconda metà 18° sec.)





[1]  “Maragià” era il titolo di “Grande Re” anticamente dato dagli indiani ai loro sovrani.
[2]  In realtà, quando Cristoforo Colombo morì nel 1506 (e dopo aver compiuto quattro viaggi) ancora pensava che la terra da lui scoperta potesse essere la Cocincina.
[3]  La Regia Estrazione divise il territorio in dodici centri d’estrazione dove lavoravano oltre 3600 schiavi.  Fino al 1843 furono recuperati ufficialmente circa 1.400.000 carati di cui la maggior parte delle pietre più importanti andarono alla casa regnante di Braganza. A metà del secolo XIX la produzione brasiliana si era attestata sui 300.000 carati annui, per poi scendere a 200.000 e si manterrà all’incirca su questi livelli fino alla fine degli anni settanta del 1900.  All’inizio degli anni 2000 le stime “semi-ufficiali” di produzione vanno da un minimo di 550 mila carati annui (per un valore complessivo di 22 milioni di dollari), ad un massimo di 900 mila carati (per un valore di 40 milioni di dollari). Da questi numeri molto labili, ne emerge solo un dato certo e cioè che un carato di qualità mista (gemma ed industriale) di grezzo brasiliano vale 40-45 dollari, un prezzo fra i più bassi sul mercato. Secondo recenti rilevamenti geologici, le scorte di grezzo dell’America Meridionale sarebbero da considerarsi fra le più ricche del mondo.
[4]  Questa descrizione ci viene da Edwin Streeter, un famoso gioielliere londinese che nella seconda metà del 1800 scrisse due libri di notevole interesse: The Great Diamonds of the World e Precious Stones and Gems.
[5] Dopo essere stata la proprietà di un principe indiano per molti anni, nel 2002 è stata acquistata da Cartier che la espone ad importanti mostre internazionali.

martedì 11 febbraio 2014

INTRODUZIONE AL DIAMANTE 2

INTRODUZIONE AL DIAMANTE 2

… a Venezia nel Medio Evo…

Una delle prime notizie sull’esistenza della Corporazione degli Orafi Veneziani risale al 1231 il cui statuto, molto articolato, stabiliva che l’apprendistato durasse quattro anni e mezzo ed aveva inizio all’età minima di otto anni. Fu proprio in questo periodo che Venezia si attestò come la capitale del taglio e del commercio dei diamanti. [1] Il grezzo arrivava dall’India dopo un lungo viaggio attraverso Baghdad, Hormuz, Aleppo e Costantinopoli. Nella zona di Rialto, il centro economico della città, si potevano contare un centinaio di molini da diamanteri (mole da taglio per diamantai) dove furono sviluppate delle nuove tecniche di lavorazione per tirar fuori delle pietre il massimo splendore. Fino a quel tempo, infatti, i tagli conosciuti erano molto semplici: a punta (o piramide) ed a tavola (quadrata o rettangolare), corrispondenti all'incirca alle facce naturali della gemma allo stato grezzo. [2]
Evoluzione del taglio di un diamante
Per oltre due secoli la Serenissima ebbe questa sorta di monopolio, ma una serie di avvenimenti concorse al suo lento decadimento: altri artigiani europei a Parigi, Londra, Amsterdam – e gli stessi indiani – impararono presto l’arte del taglio. In aggiunta, nel 1498 Vasco da Gama aprì la nuova via marittima per l’India doppiando il Capo di Buona Speranza all’estremo sud del continente africano, favorendo così Lisbona sull’Atlantico e in seguito l’Europa del nord - in confronto alle città mediterranee - negli scambi commerciali. Nel corso dei secoli, con alterne e complesse vicende, i centri di taglio si spostarono prima a Bruges e poi ad Anversa che resta ancora oggi l’unico centro in Europa.
Il viaggio di Vasco da Gama nel 1497-1499

…a Firenze, nella famiglia de’ Medici…

Il capostipite storico della famiglia de’ Medici - originaria del Mugello nel nord della Toscana, d’estrazione popolare ed arricchitasi con il commercio della lana e l’usura - [3] era Giambuono vissuto nel XIII secolo. Suo figlio Chiarissimo ebbe un ruolo politico a Firenze e fu fatto cavaliere. La famiglia subì le vicende delle sanguinose lotte fra Guelfi (che sostenevano il papato) e Ghibellini (che sostenevano l'imperatore), ma non mancò mai di prosperare, tanto che dal XIV secolo alcuni de' Medici ricoprirono cariche di rilievo in città. Fu soprattutto la numerosa discendenza di Averardo (detto Bicci, fratello di Chiarissimo) ad occuparsi degli affari della famiglia fino ad arrivare, quasi un secolo dopo, a quel Giovanni di Bicci (1360-1429) che dette grande impulso alle già fortunate attività bancarie. Egli aprì nuove sedi in Italia ed in Europa, affidandole a parenti e soci che, dotati di un eccezionale acume mercantile, diventarono i finanziatori di sovrani e papi: la casa reale inglese era debitrice di 120.000 fiorini, lo Stato Pontificio di 100.000 e così via.
Giovanni accumulò in questo modo un gran patrimonio che lasciò al prediletto figlio Cosimo (1389-1464, detto il Vecchio): si trattava di 178.000 fiorini in moneta sonante in aggiunta ad una gran quantità di crediti attivi. Nell’eredità figuravano anche alcuni gioielli, principalmente una quindicina di anelli montati con “balasci”, [4] zaffiri, un paio di piccoli diamanti, uno smeraldo, catene d’oro, cinture d’argento ed altri oggetti minori – niente di straordinario, secondo un primo inventario stilato nel 1417. Sebbene Giovanni di Bicci avesse lasciato a Cosimo solamente tre libri, questi sviluppò comunque il gusto per il collezionismo di oggetti preziosi, pietre intagliate, argenti e marmi, un interesse coltivato con grande passione dal figlio Piero (1416-1469). Nell’inventario del 1465, infatti, troviamo descrizioni di grandi gioielli come una collana a treccia smaltata con 234 perle, 27 diamanti e 27 rubini “a mandorla”, insieme con un pendente con altre 12 perle, 3 rubini ed un diamante, il tutto valutato 1.000 fiorini. Un altro pezzo, questo del valore di 5.000 fiorini, consisteva in un fermaglio da spalla “d’uno libro d’oro” (una libbra, quasi cinquecento grammi) con un grande balascio, tre perle “grosse” ed un diamante sfaccettato e poi: 36 anelli con un assortimento di pietre preziose, fili di perle e perle sciolte per 3.500 fiorini, 100 medaglie d’oro e più di 500 d’argento, per un valore totale di ben 17.689 fiorini.
Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo de' Medici
Un altro Cosimo (1519-1574, figlio di Giovanni delle Bande Nere) ebbe al suo servizio Benvenuto Cellini che lo consigliò nell’acquisto di un certo numero di perle e pietre preziose, fra cui un diamante di 35 carati, non di gran qualità. Cellini lo montò in un pendente per la moglie di Cosimo, Eleonora di Toledo, figlia del viceré spagnolo di Napoli, insieme a molte altre gioie. [5]
Divenuti sovrani di una dinastia ereditaria, i de' Medici affidarono a raffinatissimi oggetti da collezione – oltre che ai prestigiosi gioielli sfoggiati dalle loro donne – il compito di affermare la propria autorità e stile presso le corti europee. In questo modo, nel corso degli anni il tesoro mediceo era diventato sempre più importante, [6] ma nel 1601 il granduca Ferdinando I (fratello di Francesco) lo rese veramente straordinario con una gemma senza pari: il diamante Fiorentino. Ferdinando lo acquistò per 34.300 scudi, l’equivalente valore di 122 chili d’oro. Era di colore paglierino, pesava 138 carati e proveniva dall’India (Tavernier l’aveva vista e la descrive nel suo libro). Fu tagliata a punta con nove lati dal veneziano Pompeo Studentoli che, dopo dieci anni di lavoro nelle botteghe granducali (dal 1605 al 1615, durante i quali ricevette regolarmente un salario di cinquanta scudi al mese), consegnò una pietra a 126
Il diamante Fiorentino
faccette di 127 carati, valutata 200.000 ducati, diventando così il diamante più grande e prezioso in Europa a quel tempo. Rimase di proprietà dei Medici fino alla morte dell’ultimo discendente, Gian Gastone, nel 1737. A questo punto passò agli Asburgo-Lorena, subentrati ai Medici nel governo della Toscana e fece parte dei gioielli della corona d’Asburgo con una valutazione pari a 750.000 dollari odierni. Del Fiorentino si persero completamente le tracce al crollo dell’Impero Asburgico dopo la I Guerra Mondiale: si pensa che sia stato rubato, ritagliato e venduto. La stessa sorte toccò alla maggior parte dei grandi gioielli dei Medici di cui rimane solo una piccola parte, oggi conservata nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti a Firenze.



… a Versailles, alla corte del Re Sole…

Forse nessun appellativo fu mai così indovinato come quello di “Re Sole” per Luigi XIV che regnò sulla Francia per oltre mezzo secolo: intorno a lui tutto era prezioso ed oltre modo sfarzoso. Egli realizzò una forma di stato centralizzato ed assoluto pervenendo al controllo della nobiltà, del clero, dell’economia e dell’armata: a ragione amava dire “Lo stato sono io”. Nato nel 1638, fu incoronato re nel 1654, a soli sedici anni.
Il Cardinale Mazzarino
Il Cardinale Giulio Mazzarino - l’abilissimo diplomatico suo consigliere, abruzzese di nascita, che fu determinante nelle scelte politiche e di vita del sovrano - aveva una collezione personale di 18 diamanti molto importanti (fra cui il Sancy di 55 carati, tagliato a goccia irregolare e di colore giallino) che in morte lasciò allaCorona. [1] Mazzarino e la sua favolosa collezione ebbero sicuramente un ruolo primario nell’intenso rapporto che si sviluppò fra il Re Sole ed i diamanti. Nel 1668 il mercante Jean-Baptiste Tavernier (originario di Anversa), al ritorno dai suoi frequenti viaggi presso le miniere indiane, vendette al sovrano francese 20 diamanti “grandi” (da trenta a cinquanta carati ciascuno), 24 di grandezza “media” (da dieci a venti carati) e ben 1122 “piccoli” (sotto i dieci carati). Fra queste pietre ve n’era anche una assolutamente eccezionale del peso di 115 carati, di un rarissimo colore blu intenso chiamata “Il grande blu di Francia” per la quale il re pagò la cifra di 22.000 luigi, l’equivalente di 147 chilogrammi d’oro e creò Tavernier barone. Il re la fece ritagliare dal tagliatore di corte, Sieur Pitau, ottenendo così una gemma d’incomparabile bellezza e valore di 69 carati. Si ritiene che questo possa essere il celebre diamante Hope di 45,52 carati, oggi esposto alla Smithsonian Institution a Washington.
Jean-Baptiste Tavernier
Il sovrano non si limitò ad acquistare pietre solo da Tavernier: da Maria di Lorena acquistò le pietre dei Guisa tra cui una di 33 carati; dal viaggiatore olandese Bazu un taglio esagonale di 43 carati e dal portoghese Alvarez un’altra considerevole quantità fra cui l’Hortensia, uno splendido diamante rosa tagliato a trapezio. Egli adorava letteralmente ricoprirsi dei suoi splendidi gioielli alle feste a corte: sull’abito faceva cucire una serie di spille e bottoni tempestati di pietre. In aggiunta indossava una catena con 45 diamanti ed una spada con l’elsa ricoperta di pietre; molti di questi oggetti furono eseguiti dal gioielliere di corte Gilles Legarè.
Luigi XIV fu comunque l’ultimo sovrano ad indossare ornamenti preziosi in modo spropositato; con la scoperta dei giacimenti brasiliani appena dieci anni dopo la sua morte nel 1715, l’universo dei diamanti non sarebbe più stato lo stesso.

Il Re Sole e la sequenza di taglio del Grande Blu di Francia (poi, il diamante Hope)





[1] Nel 1791 i diciotto diamanti del Cardinale Mazzarino furono valutati la cifra pazzesca di 2.325.000 livres. Il solo Sancy fu valutato un milione di livres. Questa collezione fu rubata nel 1792 in un celebre furto e fu poi, in parte, ritrovata.




[1] Piero Pazzi: I Diamanti nel Commercio, nell’Arte e nelle Vicende Storiche di Venezia Venezia, 1986.
[2]Nel XVI secolo gli artigiani veneziani più apprezzati nel taglio dei diamanti erano Cesare Fedrici e Gasparo Balbi. Fu Vincenzo Peruzzi a creare nel 1680 il taglio rotondo detto “a brillante” con cinquantotto faccette (57 più l’apice) che restò pressoché invariato fino ai primi decenni del 1900.
[3]I de' Medici erano iscritti alle arti (corporazioni) di Calimala e del Cambio. Di quest'ultima facevano parte anche i commercianti di metalli e pietre preziose.
[4] Il balascio (o balasso, spesso confuso con il rubino) è la varietà rossa dello spinello di cui esistono anche le varietà blu e verdi.
[5] Maria Sframeli: I gioielli dei Medici dal vero e in ritratto, Sillabe, Firenze 2003, catalogo della mostra che si tenne a Firenze, nel Museo degli Argenti a Palazzo Pitti, nel 2003-2004.
[6] L’inventario del 1574 registra 498 pezzi fra gioielli e pietre sciolte.